domenica 30 dicembre 2018


GENNAIO
1-Saul Bellow – Il dono di Humboldt
2-Shirley Jackson – La lotteria     (e-book)
3-Thomas Bernhard – Amras
4-Diego De Silva – Divorziare con stile
5-Knut Hamsun – Fame*
6- Sergej Dovlatov – Compromesso*

GENNAIO – FEBBRAIO
7-Beppe Fenoglio – Il partigiano Johnny

FEBBRAIO
8-Henry Roth – Chiamalo sonno
9-Dan Fante – Angeli a pezzi*
10-Thomas Bernhard – Teatro 1 (Una festa per Boris, La forza dell’abitudine, Il riformatore del mondo)
11-Juri Visini – Il riparatore di sogni infranti*

MARZO
12-Fedor M. Dostoevskij – L’idiota*
13-Sacha Naspini – Le case del malcontento

APRILE/MAGGIO
14-Robert Musil – L’uomo senza qualità  (e-book)

MAGGIO
15-Tommaso Carbone – La vita che volevo  (e-book)
16-Thomas Bernhard – Camminare
17-Tommaso Landolfi – Racconti impossibili
18-Nathaniel Hawthorne – La figlia di Rappaccini (e altri racconti)
19-Hubert Selby Jr. – Ultima uscita per Brooklyn
20-Fedor M. Dostoevskij – L’eterno marito   (e-book)
21-Saul Bellow – Il pianeta di Mr. Sammler

GIUGNO
22-Tommaso Landolfi – La pietra lunare
23-Stephen King – La zona morta
24-Tommaso Landolfi – La spada*
25-Aldo Palazzeschi – I fratelli Cuccoli
26-Walter Benjamin – Il narratore
27-Stephen King – Stagioni diverse

LUGLIO
28-William Henry Hudson – La Terra Rossa
29-Miguel de Cervantes – Don Chisciotte della Mancia*

AGOSTO
30-Stephen King – Rose Madder
31-Luigi Pirandello – Il fu Mattia Pascal*
32-Beppe Fenoglio – L’imboscata*
33-Sergej Dovlatov – Straniera*

SETTEMBRE
34-James Ellroy – L.A. Confidential
35-Paolo Zardi – Il principe piccolo
36-Stefano Solventi – The gloaming – I Radiohead e il crepuscolo del rock
37-Girotto-Pievani-Vallortigara – Nati per credere
38-Fedor M. Dostoevskij – Il villaggio di Stepàncikovo e i suoi abitanti
39-Peter Water – Black Jack

OTTOBRE
40-Thomas Bernhard – Teatro II (La brigata dei cacciatori; Minetti; Alla meta)
41-Cristò – Restiamo così quando ve ne andate**
42-Leo Perutz – Di notte sotto il ponte di pietra*
43-Robert Walser – Jakob von Gunten
44-Luigi Malerba – Salto mortale
45-Joseph Conrad – L’agente segreto*
46-Nicola Pezzoli – Commiato degli uomini buoni
47-Marco Patrone – Kaiser

NOVEMBRE
48-Robert Walser – La passeggiata
49-Thomas Bernhard – Teatro III (L’apparenza inganna; Ritter, Dene, Voss; Semplicemente complicato)
50-José Saramago – Cecità
51-John Fante – La confraternita del chianti*
52-Joseph Roth – Il profeta muto
53-Hans Fallada – Il bevitore

DICEMBRE
54-Robert Walser – I fratelli Tanner
55-Mauro Corona – Nel muro
56-Guido Piovene – Le stelle fredde
57-Thomas Bernhard – Teatro IV (L’ignorante e il folle; Immanuel Kant; Prima della pensione)
58-Hans Fallada – Nel mio paese straniero

**interrotto
*rilettura

NAZIONI
21-Italia
11-U.S.A.
9-Austria
5-Russia
3-Svizzera, Germania
2-Inghilterra
1-Canada, Norvegia, Spagna, Portogallo


EDITORI
11-Adelphi
8-Einaudi
7-Mondadori
3-Sperling & Kupfer, Sellerio
2-Garzanti, E/O, Feltrinelli, Marcos y Marcos
1-Rizzoli, SE, Nulla Die, Frassinelli, Pubgold, Passigli, Bigsur, Newton Compton, Odoya, Codice, Quodlibet, Mincione Edizioni, Terrarossa, Sansoni, Blau Möwe, Arkadia, Castelvecchi, Bompiani

  
Vivi – 17
Morti – 43



domenica 14 ottobre 2018

Signorina, mi concede un Walser?



Erano anni che giravo attorno a Walser. Lo tenevo d’occhio, andavo a spiarlo, vedevo le copertine, leggevo le sinossi. Infine ci siamo ritrovati allo stesso incrocio, guardati negli occhi, e mi ha teso la mano. Folgorazione. Siamo nel campo della letteratura pura. Costruzione romanzesca scarnificata. La voce che si apre spazi nel vuoto, dice sommessamente, vincola ed elude. La vicenda progredisce senza reale progressione. La storia è scavata in profondità, in una dimensione onirica e claustrofobica, con l’appendice dei dettagli che sono il romanzo ma che qui risuonano come laterali all’Opera. La verticalità del pensiero. Non si avverte il bisogno dei mezzucci stantii del narratore, di un ordito di supporto, eppure Jacob von Gunter vanta una struttura solidissima. Miracoli della grandissima scrittura.

Walser giovane_ (Sento quanto è scarso il mio interesse per ciò che si chiama mondo, e come invece mi appare grande e affascinante quello che, nel più profondo silenzio, chiamo mondo io) 


A chiudere gli occhi si ha la sensazione di essere avvolti dalla cascata rugiadosa di questa prosa, dolcissima e straziante, si è come avvinti sotto un cielo trapunto di stelle, carezzati dal nevischio, titillati da una brezzolina amorosa, e non so a quali altri triti lirismi appellarmi per farvi capire.

I fatti: Jacob e altri ragazzi si trovano nell’Istituto Benjamenta per imparare a servire. Esattamente, per diventare fedeli servitori di un padrone. Ma i professori latitano. Forse dormono, non esistono. C’è la signorina Benjamenta che insegna. Ma cosa? Fanfaluche e ridicolaggini. Si imparano cose a memoria. Ma perché un giovane di nobile famiglia decaduta deve condannarsi a un futuro di sottomissione? L’esito vagheggiato è l’autoannientamento o la liberazione (dal mondo sociale)?

infischiarsene del luccichio della grandezza e chiamare grande ciò che è invece grigio, muto, duro e basso.
Walser vecchio_ (Dimmi, Jakob, mi vuoi un po’ di bene? Significo qualcosa per il tuo petto, per il tuo giovane cuore?)


I principi che muovono la scrittura di Walser sono gli stessi dell’Istituto:

Una delle massime fondamentali della nostra scuola è: “Poco, ma a fondo”.

gli stessi di Jakob

Mi sentirei piuttosto attratto dalla profondità, dall’anima che non dalle lontananze e dagli spazi. Indagare ciò che è a portata di mano.

Per inciso: Walser aveva un ammiratore speciale: Kafka. Il quale leggeva i libri di Walser ad alta voce, ridendo a crepapelle. Suppongo che questo passaggio di Jacob von Gunten gli abbia fornito spunti interessanti…
Pensavo che là, dietro quella porta da cui sempre esce ed entra la signorina, ci fosse un visibilio di stanze o di sale, come in un castello

Credo di avere una nuova dipendenza.
Mi concederà altri Walser, signor Robert?

domenica 30 settembre 2018

Black Jack

C’era tutta quella montagna incantata di ritagli, foglie e libri sul piccolo tavolino, ma Henry dov’era? Si era forse lanciato da quell’altura e aveva spiccato un volo pindarico?


Trattasi di un “poliziesco” (molto sui generis) antiutopico, avvolto in una destabilizzante atmosfera paragotica. Un oggetto curioso e sghembo, che, pure, riesce a tenersi bene in equilibrio sul piano inclinato che lo sorregge, grazie anche a un’accurata, raffinata forma di depistaggio lessicale. Un’ironia originale informa e manipola il senso della storia, rovesciandone le prospettive, con un trattamento di supercazzole e calembour, che risaltano come brevi scosse telluriche. E poi, di contro, cala la mannaia:

Nel quotidiano buio di ipocrisia fatto di “prego si accomodi” e “scusi se la disturbo”, l’omicidio era una sincera lama di luce.

E cos’era poi essere vivi? Avere freddo, avere fame, avere prurito, avere paura.

La vicenda s’aggrappa e si sostiene a una indeterminatezza paradigmatica, poi si precisa, senza rinunciare all’indefinito quid che la sostanzia; ma qui è sempre un alto (altro) senso di scrittura che si antepone a canoniche sovrastrutture, a canovacci romanzeschi già ampiamente sperimentati. Poi, come se i fraintendimenti non bastassero, ecco riemergere dal fondale della storia oscure intermissioni elettriche: loop di digressioni che sfidano la penetrazione del lettore, e poi deviazioni sceniche, di antefatti costitutivamente paralleli alle vicende narrate. Quando comincia a delinearsi il profilo di un possibile killer seriale, inizia la sfida agli stilemi classici, la sfida al “genere”. Appare chiaro che qui una idea di mondo prevale sulla spicciola trama, ma Water conosce bene i trucchetti del mestiere per tenere desta l’attenzione del lettore. Poi, altre rotture della linearità: Alla rivelazione di un assassinio succede il preambolo. Come forma di sovvertimento, alcune vitali informazioni sono fornite al lettore un istante prima che al detective Jack. Il romanzo procede al lento incastro dei tasselli diradando la nebbia che lo ammanta. La vicenda si dipana per sussulti e contrazioni, lampi e scosse elettriche. Presi nelle spire malate di un massiccio sperimentalismo, si esce dal trituratore finanche con la soluzione del “giallo”.

Di simili prove narrative di solito si dice: romanzo coraggioso. La definizione non mi convince. Water ha scritto quello che doveva scrivere. Non è un atto coraggioso seguire il proprio afflato artistico, è un atto imprescindibile. Coraggio ci vuole a non tenerne conto.


Ricordati: in ogni gioco d’azzardo, vince sempre il banco. Non farti ingannare da qualche isolato colpo di fortuna. Non cascarci come i giocatori patologici. Non farti sedurre da qualche sporadica botta di culo. Si tratta di trappole disseminate ad arte, come sementi sterili nel solco della sconfitta. Alla lunga è sempre e solo il banco a vincere. E tu cosa credi di essere? Te lo dico io: sei un giocatore nel gioco della vita. Quindi sei destinato a perdere. Non ci sono cazzi. Puoi inginocchiarti, prostrarti, gemere, supplicare, invocare... Croupier! Dealer! Dio! Comunque perderai.


domenica 16 settembre 2018

THE GLOAMING




Quando uscì Ok computer (1997) lo comprai piratato da un napoletano che aveva una bancarella in via del Gallitello (per i non potentini: zona sinistrata, d’ispirazione post-apocalittica, pure una Centrale Elettrica che svetta e pare voglia fulminarti. Uno scenario distopico che sembrava abitato da gente traumatizzata dall’incombente salto nel nuovo millennio. Col senno di poi, non poteva esserci luogo migliore per spacciare le dodici tracce di Ok computer, che proprio da scenari del genere erano avvelenate, e dentro quello spaesamento e quell’incubo innervavano le loro note sghembe).

All'epoca il posto era diverso, mancavano le sopraelevate giapponesi, ma la bancarella era qui.

Al primo ascolto non ci capii un cazzo e lo riportai indietro. Non c’era niente di mio gradimento e scelsi, boh, forse un CD di Everything but the girl (lo avrò ascoltato due volte in vent’anni). Eppure amavo già The bends. Devo ammettere che il problema ero io. All’epoca ero un appassionato di rock americano mainstream. Hootie & the blowfish, e cazzi vari. Ma anche roba ancora più popular. Poi sono uscito definitamente dalla caverna. Eppure ero ancora troppo legato ai vecchi schemi per capire qualcosa di Kid A, tre anni dopo. Smaltita la delusione iniziale, solo con il passare dei mesi e degli anni vidi ergersi davanti a me il monumento di Kid A/Amnesiac in tutta la sua disdegnosa maestà. 

Stefano Solventi, giornalista musicale, scrittore (all’attivo anche due romanzi musicali), scrive un libro da sballo, un trip lisergico per Radioheadiani ma da raccomandare a chiunque ami la musica rock (Radiohead a parte, nel libro si racconta l’evoluzione del rock negli ultimi trent’anni, come è morto o, meglio, come ha cercato di rinascere sotto nuove forme, fino alle più recenti - e disastrose - derive algoritmiche per una musica sempre più "confezionata", tagliata su misura delle masse; una questione di affari, che esclude ogni tipo di ricerca artistica). 

The gloaming è un lavoro che rigetta l’idea superficiale di una cultura a compartimenti stagni, e indaga le ragioni profonde mettendo tutto in relazione. I passaggi da The bends a Ok computer a Kid A visti nell’ottica di un cambiamento epocale. Le mutazioni psicologiche, tecnologiche, storiche, politiche si riverberano e informano i lavori della band, che però si rinnovano nella coscienza istintiva che porsi da angolazioni sempre diverse, superare puntualmente i propri codici espressivi, è divenuto necessario per significare ancora. Mai addomesticabili dalle mode estemporanee, radicati nel sostrato culturale, ne assorbono le ragioni e al contempo lo contagiano, facendo musica profeticamente da un tempo che verrà, un tempo imminente. 
I Radiohead accettano il fatto che “per riuscire a farlo il rock rinunciasse a gran parte di se stesso, a costo di non essere quasi più rock.” L’autore riferisce queste parole agli U2 di Achtung baby e Zooropa, ma si può dire lo stesso dei cinque di Oxford, che però lo fanno in una chiave molto meno mainstream, e con ben altri esiti non soltanto artistici.


“Mentre in Bono e soci (in Bono soprattutto) andava definendosi (l’impegno) come ingrediente e additivo dell’iconografia complessiva, naturalmente orientato verso i titoli cubitali e le pose da copertina, e depotenziandolo perciò come momento espressivo, nei Radiohead l’impegno iniziò a definirsi come un immancabile substrato poetico. A cui però non consentirono mai di soverchiare tutto il resto.”

E poi ogni singolo album, analizzato traccia per traccia. Un viaggio commovente nella voce allucinata di Yorke, dentro il segreto dei suoi testi, nella creatività fuori controllo del più giovane dei fratelli Greenwood. L’importanza decisiva che un live di Jeff Buckley ebbe nella registrazione della versione definitiva di “Fake plastic trees”. E poi una proposta letteraria e intellettuale, uno scandaglio della realtà, una visione, da chi ha vissuto il crepuscolo.

Solventi ci conficca letteralmente le sue idee in testa con un punteruolo affilato e un martellamento pieno di grazia, anche grazie alla reiterazione di alcuni concetti cardine. Anche se sviscerati da angolature diverse, è questo forse l’unico difetto – difettuccio forse fisiologico, inevitabile – che riesco a trovare in questo arrapantissimo e (per me) necessarissimo libro.


Il signor Yorke in una fase poeticamente impegnata, versione Gangsta Beach



GENNAIO 1-Saul Bellow – Il dono di Humboldt 2-Shirley Jackson – La lotteria      (e-book) 3-Thomas Bernhard – Amras 4-Diego De Sil...