C’era tutta quella montagna incantata di ritagli, foglie e libri sul piccolo tavolino, ma Henry dov’era? Si era forse lanciato da quell’altura e aveva spiccato un volo pindarico?
Trattasi di un “poliziesco” (molto sui generis) antiutopico,
avvolto in una destabilizzante atmosfera paragotica. Un oggetto curioso e
sghembo, che, pure, riesce a tenersi bene in equilibrio sul piano inclinato che
lo sorregge, grazie anche a un’accurata, raffinata forma di depistaggio
lessicale. Un’ironia originale informa e manipola il senso della storia,
rovesciandone le prospettive, con un trattamento di supercazzole e calembour,
che risaltano come brevi scosse telluriche. E poi, di contro, cala la mannaia:
Nel quotidiano buio di ipocrisia fatto di “prego si accomodi”
e “scusi se la disturbo”, l’omicidio era una sincera lama di luce.
E cos’era poi essere vivi? Avere freddo, avere fame, avere
prurito, avere paura.
La vicenda s’aggrappa e si sostiene a una indeterminatezza paradigmatica,
poi si precisa, senza rinunciare all’indefinito quid che la sostanzia; ma qui è sempre un alto (altro) senso di
scrittura che si antepone a canoniche sovrastrutture, a canovacci romanzeschi
già ampiamente sperimentati. Poi, come se i fraintendimenti non bastassero,
ecco riemergere dal fondale della storia oscure intermissioni elettriche: loop
di digressioni che sfidano la penetrazione del lettore, e poi deviazioni
sceniche, di antefatti costitutivamente paralleli alle vicende narrate. Quando
comincia a delinearsi il profilo di un possibile killer seriale, inizia la
sfida agli stilemi classici, la sfida al “genere”. Appare chiaro che qui una
idea di mondo prevale sulla spicciola trama, ma Water conosce bene i
trucchetti del mestiere per tenere desta l’attenzione del lettore. Poi, altre
rotture della linearità: Alla rivelazione di un assassinio succede il
preambolo. Come forma di sovvertimento, alcune vitali informazioni sono fornite
al lettore un istante prima che al detective Jack. Il romanzo procede al lento incastro
dei tasselli diradando la nebbia che lo ammanta. La vicenda si dipana per
sussulti e contrazioni, lampi e scosse elettriche. Presi nelle spire malate
di un massiccio sperimentalismo, si esce dal trituratore finanche con la
soluzione del “giallo”.
Di simili prove narrative di solito si dice: romanzo coraggioso. La definizione non
mi convince. Water ha scritto quello che doveva scrivere. Non è un atto
coraggioso seguire il proprio afflato artistico, è un atto imprescindibile.
Coraggio ci vuole a non tenerne conto.
Ricordati:
in ogni gioco d’azzardo, vince sempre il banco. Non farti ingannare da qualche
isolato colpo di fortuna. Non cascarci come i giocatori patologici. Non farti
sedurre da qualche sporadica botta di culo. Si tratta di trappole disseminate
ad arte, come sementi sterili nel solco della sconfitta. Alla lunga è sempre e
solo il banco a vincere. E tu cosa credi di essere? Te lo dico io: sei un
giocatore nel gioco della vita. Quindi sei destinato a perdere. Non ci sono
cazzi. Puoi inginocchiarti, prostrarti, gemere, supplicare, invocare...
Croupier! Dealer! Dio! Comunque perderai.
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