Così il 12 novembre del 2002, all’età di 28 anni, mi
accomodo davanti a uno schieramento di docenti. (Come ogni laurea che si
rispetti era scritta a quattro mani, con una persona di fiducia. Studiarmi la
parte storica mi annoiava a morte.)
Devo parlare in inglese, quindi l’inizio
della mia relazione è tutto un susseguirsi di patetici balbettamenti. Vedo la
faccia del mio relatore tramutarsi lentamente in qualcosa che non avevo mai
visto, ma il messaggio mi arriva chiaro: cosa diavolo stai farfugliando, Monte?
Un po’ alla volta mi sciolgo, inizio a esprimermi in un inglese decente,
dozzinale ma almeno smetto di far ridere.
A un certo punto posso finalmente parlare
nella mia lingua e penso che il peggio è passato.
Mi pareva in effetti assurdo
pretendere da me che mi esprimessi fluentemente in lingua inglese solo perché
stavo per laurearmi.
Il resto della mia relazione si è perso nella nebbia, ma ricordo
bene che alla destra del mio campo visivo un fotografo continuava ridicolmente a
scattarmi foto sempre dalla stessa posizione, a volte in piedi, a volte
piegandosi sulle ginocchia.
Poi, la svolta:
La controrelatrice mi incalza, mi
sbatte in faccia tutte le mie manchevolezze: nella tesi non ho scritto nulla di
Dos Passos, e Mario Puzo che fine ha fatto? Come posso pensare di presentare
una tesi sulla letteratura d’immigrazione americana senza citare questi
grandi nomi?
Mi butta a terra, non me lo aspettavo.
Francamente non mi credevo
responsabile di così gravi omissioni.
Sono costernato, a disagio, poi provo un
moto di orgoglio.
All’epoca ero un Fantiano facinoroso, come ora. Solo che a
quei tempi era da poco iniziata la mia brillante carriera di narratore e non
facevo che scribacchiare romanzi Fantiani epigonali di infimo livello, insomma
tutt’altra roba rispetto ai capolavori sfornati negli ultimi anni.
La mia costernazione
diventa ben presto odio furioso verso la controrelatrice, che evidentemente non
ci ha capito un cazzo:
Ma quali Puzo e Dos Passos, santiddiio, qui stiamo
parlando di Fante, stronza maledetta! Non è un F O T T U T O S C R I T T O R E E T N I C O!
Alla
fine lo tengo per me, ed è finita.
Stringo le mani a tutti.
Mi ero seduto con
un mediocre 88 di partenza, mi alzo con un poco onorevole 92.
Be’, dei voti me
sono sempre infischiato. Durante quei sette anni cestinati nelle aule
universitarie ho studiato davvero poco, meno che a scuola. Ricordo ancora con
piacere il mio unico 30 in Linguistica Generale, ma con buona soddisfazione
anche i miei 18 in Storia Moderna e Filologia Germanica. Dovevo solo andare
avanti e togliermi quella spazzatura di dosso.
Quello che proprio non ricordo è
il 18 in Italiano Scritto nel gennaio 2001.
Ah ah! Gli scherzi del destino! Mi
viene subito in mente Einstein e i suoi problemi scolastici con la matematica.
1895 e 2001, ecco due anni chiave della Storia. (In realtà quella su Einstein
pare sia una diceria, ma non ho resistito al parallelo tra questi due grandi
uomini, Einstein e me).
Dunque me ne vado, mesto e scalcagnato, alleggerito ma
anche addolorato per la pessima figura, quando mi imbatto in un amico di studi
universitari (tra l’altro anche lui aspettava di laurearsi quel giorno con una
tesi su John Fante).
Va be’, te la sei cavata, complimenti.
Me lo dice o è
quello che la sua smorfia sembra dirmi.
Bah, stronzate, sembravo un vero coglione!
Quindi esco con la mia scarpa sinistra con
la punta bucata. Non mi mancava neanche questo. O forse era quella destra. Al
limite erano bucate entrambe.
Il resto del mio abbigliamento non lo ricordo, ma
non doveva essere molto meglio delle scarpe.
A quel punto quello strano uomo
del fotografo mi propone l’acquisto delle sue foto a un prezzo folle. Trecento euro,
se ricordo bene. Gli dico che non mi servono. Figuriamoci se ho voglia di ricordarmi
di questo giorno. Così se ne va, scontento, con il suo bel malloppone di
fotografie del dottor Monte. Beato lui!
Non mi resta che tornare a casa. Non
succede nulla. In aula non c’erano né amici né parenti a godersi il mio
spettacolo, nessuno sapeva. Il giorno della laurea per i miei familiari era il
14 novembre, due giorni dopo.
Avevo dovuto mentire.
Non sopportavo l’idea di offrire
il deprimente spettacolo della mia relazione di laurea a gente di mia
conoscenza, mi sarei liquefatto per l’imbarazzo.
Quando due giorni dopo però
non mi decido ad alzarmi dal letto iniziano a chiedermi cosa sto aspettando:
non rischio di fare tardi?
Ma no, no, mi sono laureato due giorni fa.
Mio padre
se la ride sotto i baffi.
Mia madre è risentita e non si fa scrupolo di
manifestare questo suo sentimento: ma vai via, vai via! Non so dove sia finito
oggi il mio diploma di laurea, era tutto bello arrotolato nel suo tubo e in
camera non lo trovo più. Sarà finito in cantina.
Anche quelle foto, se le
avessi comprate, sarebbero probabilmente finite dentro quel tubo, in un luogo
più triste e buio di una cantina, il Luogo delle Cose Inutili.
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